© Social Green Hub
© Social Green Hub
L'idea di un gruppo di giovani di Castelbuono, in provincia di Palermo, tornati al sud durante la pandemia grazie alle opportunità del lavoro da remoto. L'obiettivo è migliorare la qualità della vita e generare un impatto positivo sulla comunità
di Luisa Vittoria Amen© Social Green Hub
© Social Green Hub
Fino a tre anni fa, nessun altro inglesismo era sulla bocca di tutti, come il termine smart working. Un vocabolo, coniato in realtà da noi italiani per indicare, un po' impropriamente, il lavoro da remoto. Comunque lo si voglia chiamare, si è trattato di una rivoluzione che ha permesso alle aziende di salvarsi durante i primi mesi di pandemia, costringendole a ripensare paradigmi ormai vetusti. Per molti il remote work è stata l'occasione di ritornare a casa, nelle piccole città, nei paesini, nei borghi del Sud Italia, che si sono così ripopolati grazie al cosiddetto "south working".
Uno di questi è Castelbuono, comune di ottomila abitanti del Palermitano, in cui tre anni fa è nato uno spazio di coworking di cui anche dei nomadi digitali si sono innamorati e in cui hanno voluto mettere le radici. Ce lo racconta Fabrizio, uno dei fondatori di Social Green Hub che gestisce gli spazi nei locali adiacenti lo splendido chiostro di San Francesco.
Come è nato il progetto?
"Nasce durante il Covid con il boom del remote work. Sentivamo l'esigenza di uno spazio in cui lavorare. Perciò, noi "emigrati" siciliani, rientrati a casa in piena pandemia, siamo andati a chiedere all'amministrazione comunale di poter utilizzare degli spazi pubblici da rigenerare. Il sindaco ci ha dato fiducia fin da subito permettendoci di fondare la nostra associazione no profit per la quale abbiamo firmato un protocollo d'intesa con il Comune e con l’associazione Southworking, da anni in prima linea sul tema del lavoro da remoto. Il nostro spazio può ospitare fino a 70 postazioni. L'utenza media annua è di circa 20 persone e durante l'estate naturalmente ci sono i picchi maggiori. Dalle ricerche però, abbiamo notato che le persone hanno triplicato i loro periodi di permanenza a Castelbuono, allungando i weekend o i ponti. Non solo locali quindi, ma anche persone di passaggio. Un altro obiettivo era quello di attrarre le aziende, come BforeAI, la scale-up newyorkese che opera nel campo della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale che qui ha fatto team building per una settimana".
Quali sono i vostri obiettivi?
"Non lo facciamo per soldi o per fini politici: il nostro obiettivo primario è quello di stare meglio a casa nostra. La nostra iniziativa ha dato impulso ad altre realtà come la nostra sul territorio palermitano, ma soprattutto ha dato l'esempio. A noi non interessa però fare politica territoriale. Il secondo obiettivo era quello di attrarre le aziende. Ci aspettavamo fosse più semplice invece ci è voluto un po' prima di riuscire a organizzare questo tipo di eventi, ci siamo dovuti appoggiare a una startup esterna, Smartway che da anni organizza eventi aziendali nei borghi italiani.
Un hub innovativo in mezzo alle stradine medievali di un borgo del Palermitano ha avuto un forte impatto sul tessuto sociale della comunità. Quali sono stati i risultati più sorprendenti?
"Castelbuono è una goccia in mezzo al mare. Però ci sono ben due coppie di nazionalità canadese che negli ultimi anni hanno deciso di abbandonare la vita da nomadi digitali e stabilirsi qui, comprando addirittura una casa. Qui hanno trovato amicizie e si sono integrati perfettamente con il territorio e con la popolazione, questo è un grandissimo risultato. Se qualcuno venisse a cercare lavoro qui non lo troverebbe mai. Il nostro compito è attrarre le persone, quelle che riescono a portarsi il lavoro "da casa". Ormai in posti come questo ha poco senso focalizzarsi solo sul turismo, bisognerebbe trovare, appunto, il modo di ripopolarli, quindi di fare in modo anche che funzionino tutti servizi di cui c'è bisogno sul territorio. C'è la possibilità di creare connessioni, di fare networking. Per gli abitanti di Castelbuono è bellissimo vedere persone nuove in giro per il paese. Pensa che sono persino nati degli amori!
E a livello economico invece?
"Questo luogo è nato poco più di tre anni fa. Da qui finora sono passate 250 persone che noi abbiamo tracciato in base al nostro sistema di login, che tra l'altro consente la massima sicurezza a livello informatico. Per quanto riguarda l'economia di Castelbuono, abbiamo stimato un impatto di circa 500mila euro in 3 anni e mezzo in cui si contano 220 mila euro di chi ha comprato casa e le spese di chi si è fermato qui e ha mangiato qui. Questo luogo oggi ha generato introiti per centomila euro. Materialmente ne abbiamo spesi circa 30.000, ma gli altri 70.000 rappresentano il valore delle nostre competenze, quelle che abbiamo investito in questo progetto. La card per usufruire dei nostri servizi costa venti euro all'anno. I costi per le aziende che vengono da noi per le sessioni di team building sono irrisori, con una quota di trenta euro a persona. In meno di una settimana con l'ultimo evento abbiamo calcolato un giro d'affari per tutto il paese, di circa 80mila euro".
Cosa vi augurate per il futuro?
"Quella del lavoro da remoto è stata una rivoluzione paragonabile all'avvento di internet o all'invenzione dell'automobile. È una rivoluzione che genera solo vantaggi, quindi è prevedibile che crescerà ancora in futuro. Non c'è stata neanche una persona che sia venuta qui per il coworking e non sia tornata almeno una seconda volta. I nostri più grandi fan sono i nonni. Si sono resi conto che i loro nipoti in questo modo restano molto più tempo a Castelbuono e loro se li godono di più. Non abbiamo nessuna ambizione di avere impatto su altri luoghi, questo è un progetto che funziona perché è stato realizzato da noi in questo luogo. Insomma, è facile aprire un coworking a Milano, ma in un Paese di 8.000 abitanti chi ci avrebbe mai creduto?"