Sta nascendo una nuova generazione di semiconduttori organici per smartphone e celle solari, più efficiente perché capaci di cooperare tra loro
Ransomware - Sono virus che rendono inaccessibili i dati e chiedono un riscatto per sbloccarli. © Ansa
L'elettronica "imita" sempre di più la natura. Sta nascendo una nuova generazione di semiconduttori organici per smartphone e celle solari, più efficiente perché capaci di cooperare tra loro, imitando quanto accade in virus e batteri per realizzare semiconduttori organici. È la sfida alla quale sta lavorando il gruppo di ricerca dell'Istituto americano Beckman coordinato da Daniel Davies. L'obiettivo è realizzare nuove tecnologie per innovare profondamente l'elettronica del futuro. I primi passi, descritti sulla rivista Nature Communications, sono cristalli flessibili fatti di idrogeno e carbonio.
Seppur molto semplici, i virus sono macchine molecolari incredibilmente dinamiche, capaci ad esempio di muovere in modo organico alcune componenti complesse: un esempio sono le contrazioni della cosiddetta coda tubulare usata da virus o batteri per attaccare o penetrare nelle cellule. Si tratta di movimenti praticamente impossibili da eseguire per i materiali prodotti in laboratorio dall'uomo, che risultano invece molto rigidi. Il segreto di questo dinamismo, secondo i ricercatori, sarebbe nella cosiddetta cooperatività molecolare, ossia la capacità di poter modificare una struttura in modo sincronizzato, rapido e con poco spreco di energia.
"La cooperatività molecolare aiuta i sistemi viventi a funzionare in modo rapido ed efficiente", ha detto Davies. "Ci siamo chiesti: se le molecole nei dispositivi elettronici lavorassero insieme potrebbero mostrare gli stessi vantaggi?", ha osservato il ricercatore. Questa domanda è stata il punto di partenza per cercare così soluzioni innovative per nuovi materiali elettronici.
Il primo traguardo sono delle strutture cristalline fatte di idrogeno e carbonio, la cui struttura è flessibile e cambia quando riceve calore dall'esterno. Si tratta solo di un primo passo ma che, secondo gli autori della ricerca, potrebbe portare a materiali semiconduttori molto simili a quelli già esistenti in natura e quindi molto più facili da integrare, ad esempio in sensori biologici, smartwatch o celle solari.