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Il mistero dei Moai

04 Mag 2004 - 01:28

Sull’isola di Pasqua ci sono un po’ meno di mille 'moai', gli idoli di pietra, i colossali busti monolitici, gigantesche e misteriose statue costruite fra il XIV e il XVII secolo. Oggi ne restano in piedi cinquecento. Eretti in riva al mare con gli occhi rivolti all’interno, personificavano il culto degli antenati di ogni clan o tribù, ne proteggevano i discendenti e trasmettevano il ‘mana’, il potere, l’energia necessaria per la sopravvivenza del clan.

Venivano scolpite nel tufo vulcanico del Rano Raraku (la cava dei ‘moai’) e potevano pesare fino a sessanta tonnellate. Alcuni portano sulla testa un cilindro di pietra rossa, il ‘pukao’: secondo alcuni si tratta di una rappresentazione dei capelli – pettinati a chignon – dell’antenato divinizzato (ipotesi che si basa sul fatto che i capi dei clan si tingevano i capelli di rosso con la terra). Gli ‘ahu’ sono le piattaforme di pietra e di terra che reggevano i ‘moai’ e che venivano costruite parallelamente al mare. La maggior parte degli ‘ahu’ furono distrutti da guerre e maremoti. Fungevano da centro religioso e sociale del clan e ospitavano le camere funerarie in cui venivano deposte le ossa. Proprio sulle caratteristiche degli ‘ahu’ si fonda la teoria più solida, anche se tutt’altro che certa, fra tutte quelle (molto strampalate e inverosimili) che tentano di spiegare l’origine della popolazione pasquana.

La teoria è del famoso navigatore norvegese Thor Heyerdal, secondo il quale gli abitanti dell’isola arrivarono dal Perù. Su un ‘ahu’, infatti, aveva riscontrato la presenza di un’attrezzatura di pietra di tipo inca. Sempre Heyerdal, inoltre, aveva scoperto piccole statue pre-‘moai’ che secondo lui presentavano analogie con le sculture della civiltà boliviana di Tihuanaco.
Hanga Roa, ‘capitale’ dell’isola, è una città piacevole e ariosa, fatta di case basse immerse in una florida vegetazione. Da Hanga Roa si possono fare alcune belle passeggiate, come quella al villaggio di Orongo e agli ‘ahu’ di Hanga Poukura, Hanga Te’e, Akapu e Vinapu, quest’ultimo composto di blocchi ciclopici perfettamente sagomati. Comunque è possibile noleggiare moto, macchine e cavalli. Da visitare il museo, che permette di farsi un’idea generale della cultura pasquana.

Sono esposti attrezzi originali (alcuni dei quali utilizzati per scolpire le statue), punte di ossidiana, armi in pietra e ossa, l’unica statua di donna ritrovata a ‘Rapa Nui’ (la società era rigorosamente patriarcale), statuette scavate tradizionali (dette ‘kava kava’), l’unico occhio di un ‘moai’ ritrovato sull’isola, spade sacrificali, machete decorati con teste e occhi, esempi di tatuaggi di donne nobili, vestigia di affreschi rinvenuti in grotte.
Anche il mercato municipale, vicino alla chiesa, merita un’occhiata: offre una grande scelta di artigianato pasquano, in particolare ‘kava kava’ in ‘toromino’ (un legno rosso molto duro).

Ahu Tahai è il più vicino alla cittadina. In realtà sono tre, uno dei quali sostiene cinque statue più o mano mutilate. Di fianco ci sono due ‘moai’ solitari con ‘pukao’. Davanti c’è il cerchio di pietre, luogo di incontro fra medium e spiriti.
Il bordo del cratere del vulcano Rano Kau si raggiunge dopo una salita non molto ripida ma piuttosto faticosa: lo spettacolo, però, è di straordinaria bellezza (nessun pericolo: l’ultima eruzione risale a diecimila anni fa). Il cratere è infatti letteralmente costellato da piccoli laghi verdi ricoperti di giunchi (chiamati “gli occhi che guardano il cielo”) profondi circa dieci metri.
Il villaggio di Orongo si trova sulla punta estrema dell’isola, in uno dei siti più affascinanti, tra il vulcano e uno strapiombo di trecento metri, di fronte al quale ci sono tre isolette. Vi sono state ritrovate e ricostruite quarantasette case in pietra, di basalto, a forma di ellissi e con una piccola entrata laterale.

Qui si praticava il culto dell’uomo-uccello (il ‘tangata-manu’), una delle più curiose e complesse cerimonie polinesiane, festa di rinascita legata al culto della vita e della fecondità cui partecipavano rappresentanti delle undici tribù dell’isola. Oggi restano ben centoundici petroglifi che rappresentano l’uomo-uccello, una figura accovacciata con corpo umano e becco aquilino.
Una fra le passeggiate più belle conduce alla cava di Puna Pau, dalla quale veniva estratta la roccia rossa che serviva per realizzare i ‘pukao’. Qui la campagna ricorda davvero l’Irlanda, con colline vellutate che sfoggiano un’incredibile varietà di sfumature di verde.
Ahu Akivi, cinque chilometri a nord di Hanga Roa, è l’unico ad avere le statue rivolte verso il mare e a non essere un sito funerario. I ‘moai’ rappresentano i sette inviati sull’isola del re Hotu Matua.

Lo schieramento delle statue è spettacolare e restaurato benissimo.
A est, sulla spiaggia di Vaihu, in un sito splendido (è la baia in cui sbarcò James Cook), c’è l’Ahu Hanga Te’e, con vestigia della rampa che portava al mare. E’ uno dei luoghi più impressionanti dell’isola.
Il Rano Raraku è il vulcano utilizzato come cava per la costruzione di quasi tutti i ‘moai’ dell’isola di Pasqua. Sui suoi pendii si contano circa trecento statue; altre, incompiute, si trovano ancora nelle cave. Su ogni lato del vulcano ci sono due immensi laboratori. Impressionante quello situato sul lato esterno: talvolta, i ‘moai’ distesi per terra si incastrano completamente. Il più grande misura ventidue metri, alcuni nasi raggiungono la ragguardevole lunghezza di due metri. Alcune statue, pressocché finite, hanno una sorta di ‘rampa di lancio’ incisa nella roccia.

I ‘moai’ venivano scolpiti direttamente nella roccia oppure all’interno di una grotta creata artificialmente, scavando corridoi per isolare il blocco che veniva poi lavorato. Difficile capire perché mai molte statue siano rimaste incompiute nei laboratori, come se il lavoro si fosse interrotto all’improvviso. Possibili cause: operai decimati da guerre sanguinose, epidemie, mancanza di legno o di personale per spostare i ‘moai’, squilibrio fra la produzione e i mezzi di trasporto delle statue.
Il sito ‘moai’ più importante dell’isola è l’Ahu Tongariki, situato ai piedi del vulcano Rano Raraku. Distrutto nel 1960 da un violento maremoto, fu restaurato da una compagnia giapponese. E’ lungo novantotto metri, largo sei e alto cinque. Vanta ben quindici statue giganti riunite su uno stesso ‘ahu’ e numerosi petroglifi.
Il ‘moai’ più grande (esclusi quelli conservati nelle cave del vulcano) è invece quello dell’Ahu Te Piko Kura: dodici metri di altezza.

Di fianco c’è uno strano uovo di pietra, centro dell’isola – a sua volta ombelico del mondo stando alla tradizione orale. I qui si scende alla bella spiaggia di Ovahe e alla baia di Hanga Hoonu, detta anche di La Pérouse.
Il re Hotu Matua, secondo la leggenda, sarebbe sbarcato sulla spiaggia di Anakena, la più bella di ‘Rapa Nui’, con acque smeraldine, sabbia bianchissima, palme sottili scompigliate dalla brezza e l’unica piantagione di cocchi esistente sull’isola. La spiaggia è dominata dal superbo Ahu Nau Nau: cinque statue che hanno tutte il ‘pukao’. E’ un luogo perfetto per un bagno meraviglioso sotto lo sguardo cieco ma protettivo delle splendide statue che sembrano lì apposta per fungere da sentinelle, sorvegliare i bagnanti e placare le acque che circondano quest’isola indimenticabile, irradiando il ‘mana’ (l’energia benefica) dagli occhi che non hanno più.

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