Diario di viaggio

Vi racconto il Senegal, quello vero!

Diario di viaggio della nostra lettrice Gloria

12 Feb 2013 - 15:58
 © Tgcom24

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Il Senegal non è un paese da safari, da big five nella boscaglia e mirabolanti prodigi naturalistici: va visto attraverso la gente, i colori, il cibo e la musica. Certo le spiagge sull’oceano sono meravigliose, la savana e le lagune si estendono a perdita d’occhio, i baobab sono maestosi, ma è tutto il resto che colpisce. A parte i 40 gradi che non ci abbandoneranno per dieci giorni, questa è la stagione successiva alle grandi piogge, quella della vegetazione rigogliosa e delle tante feste religiose e di costume,ed è tutto un piacere per la vista.(Il viaggio ha avuto luogo alla fine di ottobre N.d.R.)  

Nella notte più termicamente calda della mia vita, arriviamo a Dakar dove le nostre guide locali ci prelevano in aeroporto e su una grossa jeep ci conducono nella sede di "Chiama-il-Senegal", l''associazione no profit che ha organizzato il nostro tour socio-culturale-paesaggistico, dove soggiorniamo i primi due giorni. Il posto è appena fuori Dakar, lungo la costa, e per arrivarci attraversiamo un’immensa indistinta periferia, disseminata di rifiuti di varia natura. Per fortuna la scarsa illuminazione, il dissesto delle strade e il discutibile stile di guida distolgono la nostra attenzione da tutto quello scempio. Saranno queste le prime avvisaglie di un modo di vivere minimalista a cui sono abituati nella vita vera da queste parti. A titolo esemplificativo: aria condizionata inesistente, ventilatore cigolante e precario, animali di tutte le razze-specie-categorie-famiglie che sfrecciano sui sanitari del bagno, sui pavimenti, muri, soffitti e selciati. 
I primi due giorni sono dedicati alla visita di due mete nei pressi della capitale: la laguna rosa e l’isola di Gorè, rispettivamente il punto d’arrivo della famosissima competizione motoristica Parigi-Dakar e il punto di partenza degli schiavi africani per tutte le destinazioni del nuovo mondo. Nei pressi della laguna, che è anche la salina più rinomata del paese, visitiamo un villaggio di pastori e siamo subito assaliti dai bambini che ci aspettano ansiosi per via del carico di caramelle di cui li omaggiamo. Alle spalle del villaggio ci si apre l’immensità dell’Atlantico e delle sue spiagge. Il giorno a Gorè invece, isola che raggiungiamo in mezz'ora di traghetto da Dakar, è all’insegna della riflessione e della memoria, dato che visitiamo i luoghi segnati dall’infamia della schiavitù e della deportazione nelle Americhe. Qui, con la complicità dei notabili locali corrotti e spietati, si sono avvicendate e arricchite generazioni di coloni portoghesi, spagnoli e francesi grazie alla tratta ignobile di essere umani. 
Il terzo giorno partiamo alla volta dell
’isola delle Conchiglie,
un piccolo territorio separato dalla terraferma da un breve braccio di laguna che ogni sei ore si riempie e si svuota d’acqua a causa dei flussi di marea. E in questo punto di confine fra terra e mare si sono accumulate nei secoli tonnellate di conchiglie, scarti del florido mercato della pesca, che hanno formato la base, poi edificata e abitata, dell’isola chiamata Fadiouth. Il pomeriggio dello stesso giorno andiamo a visitare un villaggio nella savana, una piccola comunità di contadini, ben felice di accoglierci (visto che non arriviamo a mani vuote, ma pieni di vettovaglie in regalo!), di mostrarci le capanne e di intrattenerci con balli e canti. Qui si vive in totale condivisione umana e di beni materiali (ben pochi peraltro): i bambini sono innumerevoli e un po’ di tutti, così come le capanne sono di chi ci entra, cucina, dorme o prega.
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Il giorno seguente si parte presto per la gita in piroga sul fiume Saloum fino al mare, navigando lungo i vari bracci del suo delta. La mattina visitiamo un villaggio di pescatori dove troviamo le immancabili orde di bambini con cui giocare e tante famiglie da conoscere e con cui scambiare salamelecchi (nel vero senso della parola visto che il saluto canonico è “salam aleikum” che suona come “la pace sia con te”) . Per pranzo invece risaliamo il Saloum fino ad un tratto di riva sabbiosa. Lì picnic e relax sulle stuoie che ci siamo portati sotto la veranda di una capanna abbandonata e ci sentiamo subito un po’ dei Robinson Crusoe. Come tanti altri pasti prima e dopo, anche questo consiste in riso o couscous, carne o pesce, verdure, omelette, intingoli più o meno speziati compresa una salsa al tamarindo che con la baguette (il pane nazionale mutuato dalla tradizione francese) ci va a nozze! Tutto accompagnato dal bui (una bibita a base di frutto del baobab fermentato, liofilizzato e fatto rinvenire con latte e acqua) oppure bissab cioè karkadè. Il rientro ci regala uno splendido tramonto, ma anche un imprevisto insabbiamento della piroga per bassa marea a duecento metri dal pontile, quindi tutti in acqua (alle ginocchia), ognuno con parte del carico in spalla (zaini, stuoie, tegami, bottiglie, giubbotti di salvataggio) e via in fila indiana verso la terraferma sprofondando nel fondo melmoso. 
Trascorriamo anche alcune giornate nelle strutture di assistenza che ci ospitano: mattina in orfanotrofio e pomeriggio al centro disabili, due esperienze toccanti che fanno riflettere su come in questi Paesi sia facile con poco contribuire alle buone iniziative e al benessere di persone sfortunate dalla nascita o in successive difficoltà. E’ vero che orfani e disabili ci sono anche in paesi più sviluppati, ma qui tutto diventa più estremo e insostenibile a causa del clima, delle condizioni igieniche, della scarsa scolarizzazione e dell’ancor più esiguo senso civico, del sovraffollamento demografico, delle poche risorse e di come vengono malamente sfruttate. In orfanotrofio ci troviamo ad aiutare nel cambio pannolini, somministrazione pappe e attività ludiche nel cortile esterno, oppressi dai soliti 35 gradi di media…Nel pomeriggio qualcuno di noi crolla a dormire sulla spiaggia e quelli instancabili e sprezzanti del clima vanno ad assistere all’arrivo delle barche al mercato del pesce, rito che si consuma ogni sera al tramonto.
Il giorno successivo, tornando verso Dakar dove passeremo gli ultimi due giorni, ci fermiamo alla foce di un fiume nei pressi della laguna La Somone dove ci spiaggiamo tutto il pomeriggio in compagnia della gioventù locale. L’indomani visitiamo Piquine, un quartiere di Dakar privo di risorse, noto per la durezza dei disagi che gli abitanti qui in particolare devono affrontare: è privo di servizi e infrastrutture e spesso soggetto ad allagamenti, incendi, crolli e altre sventure. In compenso è ricco di umanità e suoni. A proposito di suoni, e quindi di voce e musica, andiamo a visitare Radio Oxy Jeunes il cui direttore ci narra dei nobili intenti alla base di questa iniziativa e cioè informare i cittadini del quartiere, e in un secondo tempo dell’intera città, su tutte le notizie utili, i progetti assistenziali, i corsi scolastici, le più elementari precauzioni igieniche, la prevenzione di crimini e malattie, insomma educare ad una civile, pacifica e rispettosa convivenza. 
Ci rimane ancora tempo per
una visita della capitale:
il centro governativo, i quartieri residenziali, il lungomare sulla scogliera, la visita alla punta del faro, il mercato dell’artigianato e una sosta alla spiaggia nord di fronte all’isolotto di Ngor, dove stremati dal caldo e dai giorni frenetici sprofondiamo all’ombra nei pressi di un baretto dove si sta troppo bene, da lì non vorremmo muoverci più, neanche per andare verso l’aeroporto dove ci imbarcheremo in piena notte per l’Italia. Cena e doccia, ospiti dell’ennesimo parente, dopodiché possiamo salutare il caldo umido, i pasti consumati scomodamente seduti sul pavimento (ci siamo poi spiegati l’origine di questa usanza: rannicchiati per terra e protesi verso l’unico piatto di portata da cui tutti si servono, lo stomaco tende a chiudersi e gli addominali a contrarsi, inevitabile quindi che il senso di sazietà giunga prima e la stanchezza per la scomodità faccia alzare in fretta, con notevole risparmio su diversi fronti…)  l’esigenza continua di disinfettare qualunque cosa compresi noi stessi e di cambiarsi i vestiti appiccicati più volte al giorno. Certo che optando per una formula più vacanziera avremmo trovato altri comfort, ma proprio in loro mancanza
abbiamo cercato di godere di altre forme di relax e intrattenimento più vere e umane,
come parlare per ore con i vari frequentatori dell’associazione confrontandosi sui reciproci e diversissimi usi e costumi.

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