Un itinerario nella parte più settentrionale del continente, dove in immense distese di territorio la flora e la fauna soppiantano la presenza dell'uomo. Tra coccodrilli e walllaby e nel bel mezzo di una civiltà con secoli di storia ancora viva e affascinante
di Domenico Catagnano© Tgcom24
"You'll Never Never Know if Never Never Go", era lo slogan di uno ruspante spot di qualche anno fa per lanciare il turismo nel Northern Territory dell'Australia. Slogan che nella sua semplicità potrebbe suonare poco creativo e ai limiti del banale, ma non è così. I pubblicitari ci avevano visto giusto: per conoscere quell'immensa regione grande quanto Italia, Francia e Spagna messe insieme e popolata solamente da 200mila persone, dominata da una natura in continuo divenire e da incredibili varietà di flora e fauna che solo lì si possono ammirare, bisogna andarci. "Tu mai e poi mai ci conoscerai se non verrai mai": e come pensarla diversamente?.
Per cominciare a conoscere quest'area smisurata che si estende dalla cittadina di Darwin (capitale della regione e uno dei punti più a nord dell'Australia) fino a Uluru (o Ayers Rock che dir si voglia, nel cuore del continente) può essere il Top End, la "punta" più settentrionale del Northern Territory, un'area di circa 400mila km quadrati (per la cronaca l'Italia ne conta circa 100mila in meno...). Parlare del Top End vuol dire immergersi nella cultura aborigena, scavare fino ad arrivare alle radici della millenaria storia di un popolo intrecciate indissolubilmente con quel territorio. E il nostro viaggio non può che cominciare da Kakadu.
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Gli aborigeni e l'arte del sogno - Kakadu e Mount Borradaile sono certamente due tra i luoghi più suggestivi per cercare di capire la storia, la cultura e la civiltà aborigena. Proprio al parco sorge il Warradjan, un museo-centro culturale che si schiude come scrigno per spiegare le complesse dinamiche sociali che regolavano e per certi versi regolano ancora oggi questa popolazione ancora misteriosa. Accanto ai wallabies (piccoli canguri), alle tartarughe, ai "barramundi" (prelibatissimi pesci locali) e a decine di impronte di mani, i soggetti preferiti dagli aborigeni nelle pitture rupestri sono stati per secoli singolari figure umane e spiriti divini. A Mount Borradaille c'è una delle più belle rappresentazioni del Rainbow Serpent, il serpente arcobaleno, un elemento del mito che tra gli aborigeni prendeva nomi diversi a seconda della tribù che lo dipingeva. In quella zona lo chiamvano Aburgia. A Nourlangie si trova Namarrgon, l'uomo del fulmine, un'altra inquietante figura di una mitologia che vive, se così si può dire, nel Dreamtime, il "tempo del sogno".
Difficile spiegare questa dimensione onirica che per gli aborigeni è nello stesso tempo quella della creazione del mondo e quella legata al presente, un piano parallelo di comunicazione e di scoperta che si raggiunge, appunto, col sogno. Difficile spiegare ma anche difficile da capire, considerato che gli aborigeni sono gelosissimi della loro cultura: i racconti e i canti si tramandano grazie a dei custodi che badano bene a non trasmetterne la conoscenza a membri esterni ai clan. Soprattutto se bianchi, considerato che i coloni, nei secoli scorsi, hanno rischiato di distruggere la loro civiltà.