Diario di viaggio

Brasile: in America Latina con la Fabbrica del Sorriso

Ultima tappa del viaggio di Anna e Fabio in un Paese sorprendente

di Anna e Fabio Stojan
24 Ott 2016 - 11:24

Sulla dogana fra Ciudad del Oeste (Paraguay) e Foz de Iguazu (Brasile) ho già detto qualcosa. Dal lato Paraguayano sembra di essere in Asia profonda, dal lato brasiliano sembra di entrare negli USA. L’esibizione d’aria condizionata e cemento armato però non corrispondono a una burocrazia efficiente. Lasciata la dogana, il bagno di modernità prosegue, come la generale sensazione di confusione. Ci aspettavamo un Brasile diverso. Forse è perché siamo negli stati del sud; Paranà e Santa Catarina, che sono i più ricchi e industrializzati. Tutto è moderno e spersonalizzato: vialoni, palazzoni, centri commerciali.

Nonostante Foz sia una rinomata località turistica, la domenica si respira un’atmosfera da “the day after”. Nessuno in giro, locali chiusi, strade vuote: terribile. Comprare una SIM è facilissimo, attivarla è quasi impossibile. L’unica cosa che riusciamo a organizzare è la visita alle cascate, che consigliamo caldamente, soprattutto se siete bambini. C’è tutto quello che può piacere: animali esotici, uccelli tropicali e la possibilità di navigare fin sotto alla cascata, bagnandosi come pulcini e divertendosi moltissimo.

La visita si esaurisce in un giorno, dopodichè ci muoviamo, costantemente ospitati e coccolati da motociclisti brasiliani. Direi che la migliore esperienza che si possa fare è la fraternità, almeno nell’ambito dei “moteros”. Il nostro passaggio viene anticipato di tappa in tappa. Ci ospitano, ci prenotano l’albergo, ci portano a cena. Bellissimo, se non fossero le solite costanti raccomandazioni: non andate in quel quartiere, non uscite la notte, non girate in moto per la città senza essere accompagnati. Le raccomandazioni sono rafforzate da numerosi esempi che, in alcuni casi, arrivano direttamente dalla polizia. Uno per tutti: la polizia di San Paolo e quella di Rio de Janeiro raccomanda ai motociclisti che si trovassero in città dopo il tramonto, di non rispettare i semafori rossi. Sembra che fermarsi ad aspettare il verde sia molto più pericoloso che passare con il rosso. C’è sempre il rischio che vi si affianchi qualcuno, vi punti la pistola alla testa (il casco serve a poco), vi intimi di scendere “senza spegnerla” (cosi si risolve anche il problema dell’antifurto) o addirittura, per non perdere tempo in chiacchere, vi spari ad una gamba, così il complice può andarsene con la moto mentre aspettate i soccorsi. Ora: si potrebbe trattare di eccesso di prudenza, ma ci sono altri dati che sostengono il pericolo. A Curitiba, piccola città di provincia, ogni weekend occorre fare la lista dei morti ammazzati che superano facilmente le 10 persone. A San Paolo e a Rio si parla di decine e decine di morti. I motivi sono i più vari, ma il risultato è che la violenza si percepisce sulla pelle, anche se a noi non è mai capitato nulla di sgradevole.

Il nostro percorso in Brasile è breve e concentrato nell’area sud: da Foz ci dirigiamo verso Curitiba. Città piacevole, con un notevole museo d’arte moderna (disegnato da Oscar Niemeyer) un colorito quartiere coloniale e qualche buon ristorante. Poi ci dirigiamo verso Florianopolis, nel tentativo di fare qualche giorno di mare. L’isola su cui sorge la città riserva qualche luogo interessante e qualche bella spiaggia. Risaliamo verso nord: Curitiba, San Paolo e poi lungo la costa fino ad Angra dos Reis e Rio. Al largo, ci segue una fila ininterrotta di isole, famose mete turistiche.

A Rio ci attende una settimana di lavoro nella favela di Manguignos nella zona nord della città. Il suo Indice di Sviluppo Umano è al 122° posto fra le 126 regioni della città. Qui il Cesvi sostiene un’iniziativa che cerca di recuperare la gioventù locale con una buona scuola d’arte e una infinità di iniziative di supporto. Abbiamo così modo di osservare dall’interno la situazione socio politica della città, che rappresenta i problemi di tutto il Brasile. Ricchissimi quartieri presidiati da vigilantes e infinite favelas presidiate dalle “forze di pacificazione” della Polizia, che si scontrano in cruente sparatorie con la malavita locale e provocano continue vittime fra la popolazione.

Per un europeo, il Brasile è difficile da capire: nella nostra piccola esperienza, l’abbiamo trovato molto diverso dalle immagini stereotipate che siamo abituati a consumare. Abbiamo passato gli ultimi giorni a organizzare il rientro della moto in Italia. Ancora una volta assistiti e coccolati dal motoclub locale. Come tutti i motoclub brasiliani, ha come simbolo un teschio. Abbiamo provato a chiederne il motivo. La risposta è stata spiazzante: il teschio non ha ne sesso ne razza: è un simbolo in cui tutti si possono riconoscere. Forse è solo un po’ tragico.

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