In provincia di Vicenza la Chiamata di Marzo, antica tradizione di saluto alla bella stagione, conosce nuove fortune
Il 25 febbraio 2018 il centro di Recoaro Terme (incantevole località ai piedi delle Piccole Dolomiti in provincia di Vicenza incastonata in una verdiossima conca nota proprio, per questo come Conca di Smeraldo) si animerà per la XXI edizione della Chiamata di Marzo, riconosciuta come Manifestazione storica dalla regione Veneto. La Chiamata di Marzo è infatti una delle più antiche e caratteristiche manifestazioni della tradizione e del folclore non solo di Recoaro Terme e dell'intero vicentino, e la sua origine si perde nella notte dei tempi.
La Chiamata di Marzo vede sfilare per le vie della cittadina termale centinaia e centinaia di figuranti in costume, che in gruppi, a piedi o sui carri allestiti con ogni genere di scenografie, mettono in mostra una straordinaria serie di oggetti, attrezzi e testimonianze della civiltà e della tradizione cimbra. Ad organizzarla, e tenere vive le antiche tradizioni è, anche quest'anno, l'Associazione Ciamar Marso. Animatissima e unica nel suo genere, la Chiamata di Marzo è sentita e partecipata non solo da Recoaro, ma anche da ciascuna delle oltre cento contrade che la circondano.
Il programma - Sabato 24 alle 18.00 nella Parrocchia di Merendaore (frazione di Recoaro), si svolgerà la messa in lingua cimbra. Alle 21 al Teatro Comunale di Recoaro Terme serata di intrattenimento Orizzonti cimbri, che si ricollega alle radici di questa terra. Domenica 25 si entrerà nel vivo con il posizionamento nel centro della cittadina, fin dalla mattina, dei carri e con l'apertuira di stand gastronomici con prodotti tipici. Alle 14.00 avrà inizio l'attesa sfilata che si dipanerà per tutto il pomeriggio. Alle 18.00, come da tradizione, si accenderà il falò dell’Omo de paja, per celebrare la fine dell'inverno.
Una tradizione antichissima - La festa cadeva sempre nell'ultima domenica di febbraio. Si sa che era ancora celebrata con grande entusiasmo e partecipazione nell'800, ma poi è declinata via via nel periodo fra le due guerre mondiali.
Ora, ripresa con grande slancio, si svolge ogni due anni. Originariamente era la manifestazione spontanea della gioia che invadeva gli animi della gente di montagna, costretta a restare chiusa nella case e nelle stalle per quattro o cinque mesi, quando il primo tepore primaverile scioglieva il ghiaccio che d'inverno interrompeva i rapporti e le normali comunicazioni sia fra le contrade che con il centro del paese. Verso l'imbrunire, dopo essersi radunati a frotte nelle loro contrade, centinaia di pastori, mandriani, contadini e le loro famiglie scendevano in paese, abbigliati con fogge e costumi stravaganti, in corteo compatto tra un frastuono indiavolato. Ornamenti fatti di rami e fronde, abiti vecchi dai colori vari e vivaci, stelle alpine sul cappello alla montanara costituivano l'abbigliamento maschile, mentre le contadinelle e le montanare indossavano gli abiti migliori, adorne di trine, merletti e dei primi fiori. E in mezzo al grande, allegro corteo non potevano mancare gli animali: somarelli riccamente adornati e infiorati, buoi, capre e perfino conigli e galline, che insieme agli uomini avevano condiviso i lunghi giorni dell'isolamento invernale. Tutti si ritrovavano nella piazza con i propri attrezzi di lavoro, i propri armenti e con ogni possibile arnese trasportabile. Alla testa della folla sfilavano per primi i cacciatori, armati di vecchi archibugi con i quali più tardi, mentre si intrecciavano le danze, salutavano a salve l'arrivo di marzo. Da qui il nome della festa. Il corno, il "rècubele" e le "snatare" completavano il gaio frastuono, mentre i bambini agitavano campanelli.
Per maggiori informazioni: www.vicenzae.org